26 aprile 2007

100 di questa panchina, mister


a cura di Dino Medolla

“Portaci all’ “Arechi”.
Così gridavano 1000 tifosi aquilotti in un caldo pomeriggio d’agosto quando Sasà Campilongo si tolse una polo granata per indossare una felpa biancoblù.
Era il 16 agosto 2004, la terra rossa ed infuocata del Social Tennis Club di Cava faceva da tappeto alla presentazione della Cavese targata Ottavio Cutillo.
Come al solito, tra i tifosi e gli sportivi metelliani c’era curiosità nell’iniziare a decifrare quale fosse il destino sportivo della nuova compagine aquilotta. Forse, c’era anche un pizzico di scetticismo intorno alla figura del nuovo allenatore, quel Sasà Campilongo, apprezzato bomber in C e B, ma reduce soltanto da qualche panchina in serie D con l’Ariano Irpino.
Senza patentino per allenare tra i professionisti, con pochissima esperienza tra i dilettanti, Campilongo non sembrava avere le credenziali giuste per iniziare una difficile avventura in una piazza esigente come quella di Cava de’ Tirreni.
E, invece, quel gesto legato alla polo granata fece capire di che pasta era fatta il neo tecnico aquilotto. Sensazioni subito confermate, poi, dalle prime uscite stagionali della sua Cavese.
Un passionale, un motivatore, un trascinatore: le stesse doti che Campilongo aveva in campo da calciatore, ben presto si sono notate anche nelle vesti di allenatore.
Di conseguenza, il feeling giusto è subito scoppiato con la città e la tifoseria. A rafforzarlo, poi, ci hanno pensato i risultati: promozione sfiorata alla prima annata (nonostante tutti i problemi societari, le gare di campionato e di play-off giocate a porte chiuse, i derby rinviati), ritorno in C1 a suon di record nella stagione successiva, piena zona play-off e domeniche di calcio spettacolo in terza serie.
Da perfetto sconosciuto o quasi, in queste ultime tre stagioni Sasà Campilongo si è imposto all’attenzione di tutti grazie alla spettacolarità e all’efficacia del suo 4-3-3. Un modulo coraggioso che ha avuto il merito di cambiare la mentalità di tifosi ed addetti ai lavori (reduci da anni di gare brutte e senza grosse emozioni) e che, di certo, ha fatto riscoprire l’amore per la gloriosa casacca bleu foncé, dopo stagioni di vacche magre, condite da retrocessioni, fallimenti e illeciti sportivi.
Insomma, tutto il peggio possibile, passato quasi nel dimenticatoio grazie anche a Sasà Campilongo che ha avuto il merito di plasmare un gruppo, soprattutto durante il primo anno, quando la gestione societaria a dir poco allegra dell’eclettico Ottavio Cutillo ha rischiato di creare non pochi malumori. In tre stagioni, per il trainer napoletano c’è stato sempre prima il bene della squadra, e poi quello del singolo. E c’è stato soprattutto grande spettacolo, tante vittorie (ben 51), e la capacità di aver riportato dopo venti anni la Cavese in C1.
Tutto bello, o quasi. Solo la morte di Catello Mari e le dimissioni presentate e poi ritirate due stagioni fa dopo la sconfitta di Melfi hanno in parte rovinato queste 100 panchine. Un periodo quasi stupendo, quello di Cava, per Campilongo, tecnico maturato e responsabilizzato anche dalle parole di Giuseppe Mari, papà di Catello, che non smette mai di ringraziarlo pubblicamente per il modo in cui ha creduto nelle capacità calcistiche dell’indimenticato “leone” biancoblù.
Alla vigilia delle sue 100 panchine, Sasà Campilongo sembra quello di sempre. Di certo, Domenica pomeriggio, all’ingresso in campo avvertirà l’emozione di una tappa importante per la sua carriera. D’altronde, guardandosi indietro, avrà capito quanto sia cresciuto. E quanto, grazie a lui, sia cresciuta la Cavese che ora sogna la serie B.

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